sabato 14 dicembre 2013

Come inviare una letterina di Natale a papa Francesco?

Ormai sono all'ordine del giorno le notizie che papa Francesco abbia telefonato a questa o quella persona dopo aver letto la sua lettera. Non ci sarebbe niente di più bello quindi, ora che siamo a pochi giorni dal Natale, di inviargli i nostri auguri e magari chiedere una benedizione.

Ma come si fa a inviare una lettera al papa? Girando in rete, ho notato che sono molti i siti che indicano come fare (qui se ne può trovare uno, ad esempio). Cosa che mi ha permesso di fare una riflessione sul sistema, alquanto arretrato, di comunicazione del Vaticano, almeno per quanto riguarda il rapporto diretto con i fedeli. Cosa che contrasta con l'innovazione del profilo Twitter, che è una buon vetrina, certamente, ma resta tale e quindi è un po' a senso unico.

L'indirizzo per scrivere al papa, infatti, è un normalissimo indirizzo di posta. Quindi se gli si vuole scrivere, nell'era delle e-mail, bisogna armarsi di santa pazienza, cercare una buca delle lettere nelle vicinanze (se esistono ancora), e sperare che le Poste recapitino questa lettera alla Città del Vaticano in una data utile prima della vostra pensione (e se siete già pensionati, non so che dire… pregate). Se la lettera gli sia arrivata, a meno che non mandiamo una raccomandata con ricevuta di ritorno, non lo sapremo mai.

Mi si potrebbe obiettare che ho poca fiducia. Ebbene sì, ho poca fiducia nelle poste. Sono una quasi-nativa digitale, e la missiva via posta ordinaria proprio non mi va giù.
Bisogna considerare, a discolpa della Santa Sede, che questa situazione delle lettere a cui il papa risponde è una cosa un po' improvvisata, fuori protocollo, come tante azioni di papa Francesco.

Ma un'esortazione all'innovazione non guasta mai, anche perché serve a poco fare il profilo Twitter del papa se poi, ad esempio, non esistono altri mezzi che la posta ordinaria o il fax per contattare l'elemosineria o la prefettura pontificia per avere un biglietto per l'udienza o una pergamena con la benedizione.

Quindi, non resta che fare una richiesta: per Natale, ce lo regalate un indirizzo e-mail?





domenica 21 luglio 2013

GMG 2013: una app per seguire Papa Francesco in Brasile

La schermata principale indica esattamente i giorni, le ore e minuti esatti prima dell'inizio della Giornata Mondiale della Gioventù 2013 e la frase del Vangelo di Matteo «Andate e fate discepoli di tutti i popoli»: è ciò che si vede in apertura, per ora, nell'app creata dal Servizio Nazionale pastorale giovanile della CEI in occasione della GMG 2013. L'applicazione ovviamente è disponibile per dispositivi iOS e Android e si divide in diverse sezioni: la prima, denominata ANDATE, è per ora ancora vuota ma dovrebbe comprendere pagine come "La parola di Dio oggi", "Preghiera", "Approfondimenti" e "Testimoni"; la seconda, quella delle NEWS, ha già qualche contenuto al suo interno, mentre la terza sezione, GMG, è già piena di articoli che riguardano la preparazione dei mesi scorsi. L'ultima sezione, LA MIA GMG, permette di salvare preferiti nelle precedenti sezioni. Nella presentazione della App si legge: «Offre spunti per la preghiera personale e per la riflessione di gruppo, approfondimenti con i testi del Concilio Vaticano II e del Catechismo del giovani II, testimonianze dei Santi e di giovani con le loro esperienze di fede, commento alle letture del giorno».

Questa ultima app è l'ennesimo segno di come gli strumenti digitali siano sempre più uno strumento indispensabile nella vita odierna, soprattutto per quanto riguarda i giovani e il loro modo di comunicare, così strettamente legato al mondo virtuale. Anche la Chiesa da tempo ha intercettato questo linguaggio e non è nuova ad operazioni volte ad avvicinare quel popolo di credenti che fa fatica ad aderire attraverso le modalità "standard": basti pensare a YouCat, la versione semplificata del catechismo per ragazzi, attraverso uno stile di scrittura semplice e una grafica giovanile e accattivante. Non poteva mancare quindi una applicazione dedicata ai giovani in occasione del loro incontro con il Papa.

Fa discutere molti e lascia perplessi alcuni, invece, la notizia che Papa Francesco impartirà l'assoluzione a tutti i follower del profilo Twitter Pontifex proprio durante queste giornate. Per ottenere questa assoluzione, però, bisognerà essersi confessati da un sacerdote ed aver ottenuto l'assoluzione, aver partecipato ad una Messa e aver seguito uno degli eventi della GMG in webcast. Sinceramente, sui canali di comunicazione ufficiale vaticani non si trovano dettagli su questa notizia, ma nei prossimi giorni ne sapremo sicuramente di più.

giovedì 11 luglio 2013

Le radici cristiane, antidoti alla "globalizzazione dell'indifferenza"

Riporto qui un mio commento pubblicato il 9 luglio 2013 sul sito Da Porta Sant'Anna:


La visita di Papa Francesco a Lampedusa porta sicuramente ad interrogarci, soprattutto per quella frase, “la globalizzazione dell’indifferenza”, che fotografa perfettamente quello che sta accadendo nel nostro mondo, e non solo a Lampedusa. Infatti, a dispetto di quanti hanno interpretato il discorso del Papa come un discorso politico rivolto allo Stato italiano, quelle parole andavano più in là, abbracciare tutto il pianeta. Lo dice il termine stesso, la globalizzazione riguarda chiunque, al giorno d’oggi.

Possiamo infatti includere nel discorso del pontefice la notizia della scorsa settimana (trattata dai nostri giornali nazionali come di una notizia di costume), che in Cina sia stata approvata una legge per “l’amore filiale”. Questo per venire incontro all’emergenza, che si espanderà nei prossimi anni (e che evidentemente è già di proporzioni problematiche, visto che sono stati costretti a farci su una legge), dell’abbandono e il maltrattamento degli anziani. Esattamente come è avvenuto in Cina, dove con la crescita economica e il regime comunista sono stati spazzati via secoli di etica confuciana, può accadere da qualsiasi altra parte del mondo; ed ecco che si ritorna presto alla “globalizzazione dell’indifferenza” di Papa Francesco.

Che c’entra tutto ciò con i cattolici? C’entra eccome, perché non ci rendiamo più conto, ormai, che se in Europa e in Italia esiste un certo tipo di welfare lo si deve alle nostre radici cristiane, o meglio, cattoliche; che gli ospedali, i ricoveri per gli anziani, sono stati inventati dai tanto vituperati preti. Così come l’oratorio, dove mandiamo i nostri figli a giocare dopo la scuola anche se non siamo credenti perché “è meglio lì che in mezzo alla strada”, lo ha inventato un certo san Filippo Neri.

Ma tutto ciò si sta perdendo, purtroppo, anche per i Paesi che hanno radici cristiane. Il cambio sta avvenendo nel cuore dei cittadini, che provano sempre meno quel sentimento di assistenza verso l’altro, quando è in difficoltà.

Di tutto ciò gli Stati non si rendono conto, o fanno finta di non accorgersene. Invece di essere riconoscenti a queste radici, integrandole tranquillamente nella vita quotidiana, si cerca di metterle da parte, di cancellarle, di dare a tutto un aspetto “laico”. Il che va anche bene, salvo che poi, quando tutto diventa laico e quindi non si risponde più a una chiamata “interna” del dovere dell’assistenza verso l’altro, si deve supplire con le leggi, con l’obbligo da parte di un ente superiore come lo Stato. Per utilizzare una metafora, è come comprare un’anguria con la polpa marcia, salvo poi lamentarsi se il fruttivendolo non ce la vende con la buccia bella lucida.

La domanda quindi resta questa: dove andranno a finire queste nostre radici in Italia e in Europa? Cercheremo di conservarle o faremo la fine della Cina, dove ci sarà una legge che ci imporrà che dobbiamo amare gli altri e come li dobbiamo amare? Sceglieremo anche noi di cedere i nostri valori all’indifferenza globale?

martedì 25 giugno 2013

Paolo VI e il messaggio agli artisti

A cinquant'anni dall'elezione al soglio pontificio di Papa Paolo VI, riporto qui il testo del suo discorso agli artisti del 7 maggio 1964.


Cari Signori e Figli ancora più cari!

Ci premerebbe, prima di questo breve colloquio, di sgombrare il vostro animo da certa apprensione, da qualche turbamento, che può facilmente sorprendere chi si trova, in una occasione come questa, nella Cappella Sistina. Non c’è forse luogo che faccia più pensare e più trepidare, che incuta più timidezza e nello stesso tempo ecciti maggiormente i sentimenti dell’anima. Ebbene, proprio voi, artisti, dovete essere i primi a togliere dall’anima la istintiva titubanza, che nasce nell’entrare in questo cenacolo di storia, di arte, di religione, di destini umani, di ricordi, di presagi. Perché? Ma perché è proprio, se mai altro c’è, un cenacolo per gli artisti, degli artisti. E quindi dovreste in questo momento lasciare che il grande respiro delle emozioni, dei ricordi, dell’esultazione, - che un tempio come questo può provocare nell’anima - invada liberamente i vostri spiriti.
Vi può essere un altro turbamento, quasi un’altra paralizzante timidezza; ed è quella che può portare non tanto la Nostra umile persona, quanto la Nostra presenza ufficiale, il Nostro ministero pontificio: è qui il Papa!, voi certo pensate. Sono mai venuti gli artisti dal Papa? È la prima volta che ciò si verifica, forse. O cioè, sono venuti per secoli, sono sempre stati in relazione col Capo della Chiesa Cattolica, ma per contatti diversi. Si direbbe perfino che si è perduto il filo di questa relazione, di questo rapporto. E adesso siete qui, tutti insieme, in un momento religioso, tutto per voi, non come gente che sta dietro le quinte, ma che viene veramente alla ribalta di una conversazione spirituale, di una celebrazione sacra. Ed è naturale, se si è sensibili e comprensivi, che ci sia una certa venerazione, un certo rispetto, un certo desiderio di capire e di tacere. Ebbene, anche questa sensibilità, se dovesse in questo momento legare le vostre espressioni interiori di liberi sentimenti, Noi vorremmo sciogliere, perché, se il Papa deve accogliere tutti - perché di tutti è Padre e per tutti ha un ministero, e per tutti ha una parola -, per voi specialmente tiene in serbo questa parola; ed è desideroso, ed è felice di poterla quest’oggi esprimere, perché il Papa è vostro amico.
E non lo è solo perché una tradizione di sontuosità, di mecenatismo, di grandezza, di fastosità circonda il suo ministero, la sua autorità, il suo rapporto con gli uomini, e perché ha bisogno di questo quadro decorativo e espressivo per dire a chi non lo sapesse chi lui è, e come Cristo lo abbia voluto in mezzo agli uomini. Ma lo è per ragioni più intrinseche, che sono poi quelle che ci tengono oggi occupati e che interessano il nostro spirito, e, cioè: sono ragioni del Nostro ministero che Ci fanno venire in cerca di voi. Dobbiamo dire la grande parola che del resto voi già conoscete? Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità. E non solo una accessibilità quale può essere quella del maestro di logica, o di matematica, che rende, sì, comprensibili i tesori del mondo inaccessibile alle facoltà conoscitive dei sensi e alla nostra immediata percezione delle cose. Voi avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo.
Questo - coloro che se ne intendono lo chiamano «Einfuhlung», la sensibilità, cioè, la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non si riuscirebbe a capire e ad esprimere - voi questo fate! Ora in questa vostra maniera, in questa vostra capacità di tradurre nel circolo delle nostre cognizioni - et quidem di quelle facili e felici, ossia di quelle sensibili, cioè di quelle che con la sola visione intuitiva si colgono e si carpiscono -ripetiamo, voi siete maestri. E se Noi mancassimo del vostro ausilio, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte.
Ora, se questo è, il discorso si dovrebbe fare grave e solenne. Il luogo, forse anche il momento, si presterebbero; non tanto il tempo che Ci è concesso, e non tanto il programma che abbiamo prefisso a questo primo incontro amichevole. Chi sa che non venga un momento in cui possiamo dire di più. Ma il tema è questo: bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti. Non è che l’amicizia sia stata mai rotta, in verità; e lo prova questa stessa manifestazione, che è già una prova di tale amicizia in atto. E poi ci sono tante altre manifestazioni che si possono addurre a prova di una continuità, di una fedeltà di rapporti, che testimoniano che non è mai stata rotta l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti. Anche perché, come dicevamo, la Chiesa ne ha bisogno e poi potremmo anche dire di più, leggendovi nel cuore. Voi stessi lo andate cercando questo mondo dell’ineffabile e trovate che la sua patria, il suo recapito, il suo rifornimento migliore è ancora la Religione.
Quindi siamo sempre stati amici. Ma, come avviene tra pa-renti, come avviene fra amici, ci si è un po’ guastati. Non abbiamo rotto, ma abbiamo turbato la nostra amicizia. Ci permettete una parola franca? Voi Ci avete un po’ abbandonato, siete andati lontani, a bere ad altre fontane, alla ricerca sia pure legittima di esprimere altre cose; ma non più le nostre.
Avremmo altre osservazioni da fare, ma non vogliamo questa mattina turbarvi ed essere scortesi. Voi sapete che portiamo una certa ferita nel cuore, quando vi vediamo intenti a certe espressioni artistiche che offendono noi, tutori dell’umanità intera, della definizione completa dell’uomo, della sua sanità, della sua stabilità. Voi staccate l’arte dalla vita, e allora... Ma c’è anche di più. Qualche volta dimenticate il canone fondamentale della vostra consacrazione all’espressione; non si sa cosa dite, non lo sapete tante volte anche voi: ne segue un linguaggio di Babele, di confusione. E allora dove è l’arte? L’arte dovrebbe essere intuizione, dovrebbe essere facilità, dovrebbe essere felicità. Voi non sempre ce le date questa facilità, questa felicità e allora restiamo sorpresi ed intimiditi e distaccati.
Ma per essere sincero e ardito - accenniamo appena, come vedete - riconosciamo che anche Noi vi abbiamo fatto un po’ tribolare. Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi - vi si diceva - abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci ! E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non vi abbiamo avuti allievi, amici, conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto.
E allora il linguaggio vostro per il nostro mondo è stato docile, sì, ma quasi legato, stentato, incapace di trovare la sua libera voce. E noi abbiamo sentito allora l’insoddisfazione di questa espressione artistica. E - faremo il confiteor completo, stamattina, almeno qui -vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’«oleografia», all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, anche perché, a nostra discolpa, non avevamo mezzi di compiere cose grandi, cose belle, cose nuove, cose degne di essere ammirate; e siamo andati anche noi per vicoli traversi, dove l’arte e la bellezza e - ciò che è peggio per noi - il culto di Dio sono stati male serviti.
Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? Volete dei suggerimenti, dei mezzi pratici ? Ma questi non entrano adesso nel calcolo. Restino ora i sentimenti. Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da interpretare ciò che dovrete esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volta più del tema, quel fluido segreto che si chiama l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte. E, a Dio piacendo, ve lo daremo. Ma dicevamo che questo momento non è fatto per i lunghi discorsi e per fare le proclamazioni definitive.
Però noi abbiamo già, da parte nostra, Noi Papa, noi Chiesa, firmato un grande atto della nuova alleanza con l’artista. La Costituzione della Sacra Liturgia, che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ha emesso e promulgato per prima, ha una pagina - che spero voi conosciate - che è appunto il patto di riconciliazione e di rinascita dell’arte religiosa, in seno alla Chiesa cattolica. Ripeto, il Nostro patto è firmato. Aspetta da voi la controfirma.
Per ora dunque Ci limitiamo a dei rilievi molto semplici, ma che però non vi faranno dispiacere.
Il primo è questo: che Ci felicitiamo di questa Messa dell’artista e Monsignor Francia ne sia ringraziato; lui e tutti coloro che lo hanno seguito e che ne hanno raccolto la formula. Noi abbiamo visto nascere questa iniziativa, l’abbiamo vista accolta per primo dal Nostro venerato Predecessore Papa Pio XII, Che ha cominciato ad aprirle le vie e a darle cittadinanza nella vita ecclesiastica, nella preghiera della Chiesa; e perciò Ci congratuliamo di quanto è stato fatto su questo filone, che non è l’unico, ma che è buono e che è bene seguire: lo benediciamo e lo incoraggiamo. Vorremmo che voi portaste fuori, a quanti avete colleghi, imitatori, seguaci, la Nostra Benedizione per questo esperimento di vita religiosa artistica che ha ancora fatto vedere che fra sacerdote e artista c’è una simpatia profonda e una capacità d’intesa meravigliosa.
La seconda cosa è questa, notissima, ma deve, Ci pare, in questo momento essere ricordata; ed è che, se il momento artistico che si produce in un atto religioso sacro - come è una Messa - deve essere pieno, deve essere autentico, deve essere generoso, deve davvero riempire e far palpitare le anime che vi partecipano e le altre che vi fanno corona, ha altresì bisogno di due cose: di una catechesi e di un laboratorio.
Non Ci diffonderemo ora a discorrere se l’arte venga spontanea e improvvisa, come una folgorazione celeste, o se invece - e voi ce lo dite - abbia bisogno di un tirocinio tremendo, duro, ascetico, lento, graduale. Ebbene, se vogliamo dare, ripetiamo, autenticità e pienezza al momento artistico religioso, alla Messa, è necessaria la sua preparazione, la sua catechesi; bisogna in altri termini farla prendere o accompagnare dalla istruzione religiosa. Non è lecito inventare una religione, bisogna sapere che cosa è avvenuto tra Dio e l’uomo, come Dio ha sancito certi rapporti religiosi che bisogna conoscere per non diventare ridicoli o balbuzienti o aberranti. Bisogna essere istruiti. E Noi pensiamo che nell’ambito della Messa dell’artista, quelli che vogliono manifestarsi artisti veramente, non avranno difficoltà ad assumere questa sistematica, paziente, ma tanto benefica e nutriente informazione. E poi c’è bisogno del laboratorio, cioè della tecnica per fare le cose bene. E qui lasciamo la parola a voi che direte che cosa è necessario, perché l’espressione artistica da dare a questi momenti religiosi abbia tutta la sua ricchezza di espressività di modi e di strumenti, e se occorre anche di novità.
E da ultimo aggiungeremo che non basta né la catechesi, né il laboratorio. Occorre l’indispensabile caratteristica del momento religioso, e cioè la sincerità. Non si tratta più solo d’arte, ma di spiritualità. Bisogna entrare nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore; è l’Io che si trova nella sua sintesi più piena e più faticosa, se volete, ma anche la più gioiosa. Bisogna che qui la religione sia veramente spirituale; e allora avverrà per voi quello che la festa di oggi, la Ascensione, Ci fa pensare. Quando si entra in se stessi per trovare tutte queste energie e dar la scalata al cielo, in quel cielo dove Cristo si è rifugiato, noi ci sentiamo in un primo momento, immensamente, direi, infinitamente lontani.
La trascendenza che fa tanto paura all’uomo moderno è veramente cosa che lo sorpassa infinitamente, e chi non sente questa distanza non sente la religione vera. Chi non avverte questa superiorità di Dio, questa sua ineffabilità, questo suo mistero, non sente l’autenticità del fatto religioso. Ma chi lo sente sperimenta, quasi immediatamente, che quel Dio lontano è già lì: «Non lo cercheresti, se già non lo avessi trovato». Parole di Pascal, vero; ed è quello che si verifica continuamente nell’autentica vita spirituale del cristiano. Se ricerchiamo Cristo veramente dove è, in cielo, lo vediamo riflesso, lo troviamo palpitante nella nostra anima: il Dio trascendente è diventato, in certo modo, immanente, è diventato l’amico interiore, il maestro spirituale. E la comunione con Lui, che sembrava impossibile, come se dovesse varcare abissi infiniti, è già consumata; il Signore viene in comunione con noi nelle maniere, che voi ben sapete, che sono quelle della parola, che sono quelle della grazia, che sono quelle del sacramento, che sono quelle dei tesori che la Chiesa dispensa alle anime fedeli. E basti per ora così.
Artisti carissimi, diciamo allora una parola sola: arrivederci!



mercoledì 12 giugno 2013

I corvi e le cornacchie che infestano "casa Vaticano"

Da ieri i giornali non fanno altro che parlare di questo colloquio privato che il Papa avrebbe avuto con sei delegati della CLAR, la Confederazione di religiosi latinoamericana e dei Caraibi. 
Qualcuno di questi religiosi sarebbe andato a spifferare tutto il contenuto del colloquio al sito cileno Reflexion y Liberacion, vicino alle posizioni della teologia della liberazione. 
Padre Lombardi, della sala stampa vaticana, ha ritenuto opportuno sottolineare che si trattava di una conversazione privata, e che lui non era in grado né di confermare né di smentire, anche perché non esistono registrazioni di tutto ciò. 

Il Papa avrebbe parlato della presenza all'interno della curia romana di una lobby gay. Questo è il dato pruriginoso che più ha interessato i giornali che oggi si soffermano su questa dichiarazione, ipotizzando collegamenti con il caso Vatileaks e il rapporto segreto passato direttamente dalle mani di Papa Benefetto XVI a quelle di Francesco, come nel caso dell'articolo di Andrea Tornielli ieri su Vatican Insider, e quello di Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera di oggi. 

Questo è l'antefatto. Che i corvi dunque siano tornati di nuovo in azione?
Più che di corvi pare si tratti di cornacchie: già oggi Gian Guido Vecchi parla di "sintesi personali" da parte dei religiosi che hanno assistito a questo colloquio, che potrebbero quindi aver interpretato a loro modo alcune frasi di Papa Francesco. Si inizia a ritrattare, quindi. Anche se la macchina del fango  è già stata messa in moto.

Per quanto si possa dubitare di quanto detto in questa chiacchierata "privata" (che una persona in buona fede non sarebbe dovuta andare a raccontare, ma evidentemente non è questo il caso), è innegabile che da tempo girino voci su una lobby (ma poi, cosa si intende col termine lobby? Un'organizzazione che tenta di ottenere qualcosa o semplicemente un gruppo di persone omosessuali all'interno della curia?) gay, soprattutto per quanto riguarda i seminari pontifici. Non mi meraviglierebbe se il Papa si fosse lasciato scappare un accenno a questa situazione in un colloquio privato e che questo sia stato un boccone succulento per una strumentalizzazione delle sue parole.

Ciò che però mi fa dubitare sulla buonafede di questa fuga di notizie è una frase riportata da Tornielli, in cui il Papa avrebbe invitato i religiosi ad ignorare le missive scritte dalla Congregazione della dottrina della fede e andare avanti par la propria strada. 
Sembra davvero una frase illogica, detta dal capo della Chiesa Cattolica.

I conti tornano solo quando si ricorda che il sito che ha dato la notizia è vicino alla teologia della liberazione, che da anni scappa dalle maglie della Chiesa. E si fa due più due se si ricorda che Bergoglio, quando era prete a Buenos Aires, a questa teologia della liberazione si era sempre opposto. 

Dopo aver fatto questa considerazione, è ovvio che le altre affermazioni di questi signori vadano prese almeno con le pinze.

E se proprio vogliamo parlare di liberazione, speriamo che ci sia davvero una liberazione in Vaticano di questi corvi, che remano contro corrente.
Anche se, ribadiamo, in questo caso pare che si tratti di più banali cornacchie. 

lunedì 3 giugno 2013

Aldo Moro e Pier Giorgio Frassati tra FUCI e laicato domenicano

Tra i gruppi di laici che si affiancano agli ordini religiosi i domenicani sono sicuramente i meno conosciuti, se si fa un raffronto, ad esempio, con gli oblati benedettini e i terziari francescani.
Ciò che si conosce ancora di meno è che illustri personaggi della vita pubblica italiana ne hanno fatto parte.

Ma chi sono i laici domenicani e in che cosa consiste essere un laico domenicano? Ma soprattutto, esiste un collegamento tra la FUCI, la Federazione Universitaria cattolica Italiana e il carisma di San Domenico?

La prima regola di laici affiliati all'Ordine dei predicatori viene promulgata nel 1285 da parte del Maestro generale Munos de Zamora. Al terziariato domenicano, che attualmente viene chiamato Fraternità laica di san Domenico, possono partecipare indistintamente uomini e donne, sposati e non.

Il carisma del laicato domenicano consiste soprattutto nel fare apostolato e nello studio della Verità, quindi nell'approfondimento della teologia attraverso lo studio, secondo il carisma di San Domenico (per inciso, non è un caso che San Tommaso d'Aquino, con grande probabilità il più grande filosofo cristiano e sicuramente uno dei giganti della cultura occidentale, sia stato un frate domenicano). 
Tra i molti laici domenicani quindi troviamo figure illustri della cultura, anche se questo dato non sempre appare nelle loro biografie.

La FUCI, invece, nasce come costola universitaria dell'Azione Cattolica nel 1868 e da essa si distacca dopo la prima guerra mondiale. La Fuci ben presto diviene fucina (mi si perdoni il gioco di parole) di intellettuali e politici cattolici, spesso moderati, spesso appartenenti alla parte più "dialogante" della Dc. Dalla Fuci, inoltre, provengono molti di quei cattolici che partecipano alla resistenza alle forze nazifasciste.

E' il caso di Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978), Presidente del consiglio italiano e presidente della democrazia cristiana, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. E' cosa nota che Moro si sia formato nella FUCI durante l'università e sia molto vicino alla figura di Papa Paolo VI, che soffrirà molto per il suo assassinio. 
Si sa molto meno che Moro prende i voti del laicato domenicano proprio durante gli anni in cui frequenta la Fuci a Bari e grazie alla sua frequentazione con il padre domenicano Giorgio Inzitari, che lo avrebbe iniziato al carisma di San Domenico. 
All'intervento di Moro si dovrebbe inoltre la scelta di affidare la guida della basilica di San Nicola a Bari proprio ai domenicani.

Altra figura di spicco dei laici domenicani è il beato Pier Giorgio Frassati (Torino, 6 aprile 1901 – Torino, 4 luglio 1925). Giovane di buona famiglia (il padre è il proprietario e direttore del quotidiano "La Stampa"), muore giovanissimo, all'età di soli 24 anni. Anche lui milita nell'Azione Cattolica e nella Fuci, ma una poliomielite fulminante interrompe la sua brillante carriera universitaria (studiava ingegneria meccanica) a soli due esami dalla fine. Frassati dedica tutta la sua breve esistenza allo studio, all'attività politica e all'assistenza ai poveri.

Queste due figure portano ad interrogarci sui possibili collegamenti tra questa associazione e il terziariato domenicano.
Fondamentalmente, la Fuci nella prima parte del Novecento, e soprattutto prima del Concilio Vaticano II,  è l'unica associazione cattolica destinata agli universitari, e quindi risulta abbastanza normale che l'intellighenzia cattolica, soprattutto in un'epoca in cui l'università non è accessibile a tutti, si riversi all'interno della Federazione.
Dopo il Concilio Vaticano II e la nascita di tanti altri movimenti laicali, che si diffondono anch'essi all'interno delle università (in particolare il fenomeno di Comunione e Liberazione), l'adesione alla FUCI da parte dei giovani studenti universitari va scemando.

Ciò che appare meno comune e sicuramente non è un dato scontato, è il laicato domenicano, che in questo caso suona come un rafforzamento delle tendenze intellettuali dei due personaggi (ma ricordiamo tanti altri personaggi noti tra i laici domenicani del Novecento, come Giorgio La Pira e Titina de Filippo).

La Fuci quindi come bacino di santità? Ciò che è certo, sicuramente, è come la sua matrice intellettuale cattolica abbia aperto le porte ad un approfondimento spirituale, sempre nel segno dello studio e della cultura. Il laicato domenicano, in questo senso, sembra un approdo naturale all'interno degli ordini religiosi.





sabato 1 giugno 2013

La battaglia di Papa Francesco contro bigotti e opportunisti

Le recenti omelie e meditazioni di Papa Francesco durante la messa mattutina nella cappella della casa Santa Marta evidenziano certamente una delle direzioni del Santo Padre: quella della ricerca della fede semplice e soprattutto la vita cristiana come apertura verso l'altro.
Il Papa in più di un'occasione, infatti, non ha esitato a usare anche parole dure contro i cristiani autoreferenziali, chiusi in sé stessi, certi della propria appartenenza, che li rende "eletti" rispetto agli altri.

Già durante l'incontro con i movimenti e le associazioni laicali alla veglia di Pentecoste, Papa Bergoglio aveva chiesto di «non chiudersi, né essere autoreferenziali». Il Papa ha invitato ad andare nelle periferie dell'uomo, a non chiudersi, soprattutto in questo periodo di crisi. «Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala» (puoi leggere il testo integrale del discorso qui) Ha inoltre esortato a «non essere cristiani da salotto, che parlano di teologia mentre bevono il tè». Bisogna sporcarsi le mani, insomma.

Un'esortazione che fa riflettere, soprattutto se si pensa che il Papa l'ha fatta davanti ai movimenti, davanti, cioè, a quella che dovrebbe essere la nuova linfa vitale della Chiesa, ma che invece a volte tende a chiudersi all'interno con i suoi adepti. Di certo chi si aspettava un'accoglienza trionfale da parte di questo Papa è stato deluso, visto il tenore di questi ammonimenti.

Dopo questo primo segnale, Papa Francesco il ha rincarato la dose durante una della meditazioni alla casa Santa Marta, dove ha parlato dell'accoglienza cristiana (trovi il testo qui). Il Papa ha fatto gli esempi di due fidanzati che vanno a chiedere al sacerdote informazioni per il matrimonio e trovano solo un burocrate che elenca costi e orari, e la ragazza madre che vuole battezzare il proprio bambino e si trova la porta chiusa in faccia perché non sposata. «Questo non è un buon zelo pastorale. Questo allontana dal Signore, non apre le porte. E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alla gente, al popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette sacramenti e noi con questo atteggiamento ne istituiamo l’ottavo, il sacramento della dogana pastorale».

A quali riflessioni porta questo atteggiamento? Di sicuro, le omelie di Papa Francesco si inseriscono nel solco dei pontefici precedenti, anche se il suo linguaggio è più semplice ed immediato. 
Ma è dall'inizio del suo pontificato, da quando parlò di una «Chiesa povera» che questo pontefice sembra voler andare controcorrente, di voler scardinare soprattutto una certa mentalità "bigotta" all'interno della Chiesa e, contrariamente a chi pensava che avrebbe fatto grandi cambiamenti "esteriori", di "struttura", pare che ciò che gli interessi prima di tutto è ciò che avviene "all'interno" del popolo di Dio. 

Via bigotti e bigottismi, dunque, ma anche chi si appoggia alla Chiesa e alle sue istituzioni per avere benefici e fare carriera: anche su questo Papa Francesco si è recentemente pronunciato, sempre durante la messa mattutina in Santa Marta (leggi qui). L'unica carriera possibile, per i cristiani, è quella dell'umiliazione, farsi piccoli per servire gli altri. Questo è ciò che significa progredire per lui in senso cristiano. 

Siccome è molto probabile che non tutti la pensino proprio allo stesso modo, anche all'interno della Chiesa, Papa Francesco ha sentito la necessità di ribadire anche questo concetto.
Scommettiamo che, dopo gli entusiasmi iniziali, Papa Francesco inizi a non essere poi così simpatico. A iniziare dai "cristiani da salotto".



domenica 19 maggio 2013

Papa Francesco su Twitter: è lui o non è lui?

Papa Francesco scrive personalmente su Twitter? Un articolo di qualche giorno fa apparso sul quotidiano online Il Sussidiario solleva la questione se a scrivere i tweet sull'account @Pontifex sia proprio Papa Francesco (puoi leggere l'articolo qui). A tradirlo sarebbe un errore ortografico che rivelerebbe sua presenza in un post pubblicato il 16 maggio scorso.
Per questo motivo ho deciso di analizzare gli ultimi tweet per cercare un ulteriore riscontro rispetto a quanto affermato da Il Sussidiario. Se la presenza diretta del Santo Padre su Twitter fosse vera, sarebbe un'altra importante innovazione da parte di questo pontificato. Le conclusioni a cui sono arrivata possono essere riassunte in tre punti:

1) L'errore riguarda un solo post del solo profilo in italiano, mentre @Pontifex consta di ben altri 8 profili in altre lingue (inglese, francese, spagnolo, polacco, portoghese, arabo, latino, tedesco). Un'ipotesi del genere su un solo post in una sola lingua è alquanto affrettata e riduttiva.

2) Sarebbe impossibile per il Papa tener testa a tutti i profili. Se il Papa potesse perdere tempo dietro Twitter, non si spiegherebbe tutto l'apparato del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

3) Il capo della comunicazione del Vaticano è americano. Greg Burke, giornalista statunitense, è stato nominato responsabile della comunicazione proprio in occasione del primo Tweet di Papa Benedetto XVI. Anche molte altre persone dello staff sono di nazionalità diverse da quella italiana, e quindi è più probabile che l'errore di battitura sia dovuto più a qualcuno che parla abitualmente inglese piuttosto che in latino, come invece sostiene Il Sussidiario.

Anche in questo caso si tratterebbe quindi di una di quelle tante conclusioni affrettate che abitualmente, da un po' di tempo a questa parte, vengono fatte sulle parole di Papa Francesco nel tentativo di attribuirgli decisioni e frasi che alcuni vorrebbero sentirgli dire. Anche se attribuirgli un tweet è cosa meno grave, si tratta comunque di una distorsione della notizia che non fa mai bene a nessuno, ma piuttosto fa perdere credibilità.

venerdì 17 maggio 2013

Welcome!

Benvenuti nel blog de L'osservatrice vaticana! Mi chiamo Roberta Pacifico e sono una giornalista praticante. In questo blog scriverò alcuni articoli o commenti riguardanti tutto ciò che riguarda il Vaticano e dintorni. Mi potete leggere anche su Magzine e Voci di Milano, pagina del quotidiano online La Stampa.