giovedì 27 marzo 2014

DeoSpace, non era meglio aspettare?

La notizia è di due giorni fa, anche se i media cattolici (figurarsi quelli laici) non vi hanno dato particolare peso. La pontificia commissione delle comunicazioni sociali del Vaticano ha lanciato DeoSpace, un social network cattolico che avrebbe la pretesa di riunire i cattolici di tutto il mondo attraverso uno dei linguaggi più moderni, quello della condivisione di immagini e di messaggi multimediali.

DeoSpace è stato voluto dal cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del Consiglio di consulenza dei Cardinali e da Kevin Farrell, vescovo di Dallas. Il direttore generale è Mario Cappello, presidente dell'Institute for World Evangelization. Una buona notizia, che mi ha subito incuriosito e fatto iscrivere a questo nuovo sito, disponibile in inglese italiano e spagnolo e al quale si può accedere anche attraverso il proprio account Facebook e Twitter. 

Ma i problemi si evidenziano già al momento del primo accesso: la grafica, infatti, non è delle più accattivanti e più vicina a un sito degli anni Novanta che a un social network contemporaneo. Anche l'utilizzo ricorda più una chat aperta di qualche anno fa rispetto a un social network: infatti si possono vedere gli utenti online, i loro profili, le loro foto. Dai social network sono stati mutuati le amicizie (anche queste visibili), i gruppi, le persone che potresti conoscere e i poke. Ovviamente tutto declinato in senso cattolico, tanto che quando si riceve un poke il destinatario riceve un messaggio in cui viene informato che una determinata persona ha pregato per te. Rispondere al poke significa restituire la preghiera.

Alla fine dei conti, DeoSpace (che conta dopo due giorni 1.250 utenti iscritti) è un sito simpatico per quanto riguarda le intenzioni, ma confuso nelle modalità d'uso. La sua più grande pecca è la grafica, davvero antiquata e, se ci è permesso dirlo, proprio brutta. Nel comunicato stampa sul sito del Pccs viene detto che "future edizioni di DeoSpace offriranno caratteristiche più all'avanguardia". Ma visto il risultato attuale, non era meglio aspettare un altro po' per poter lanciare un prodotto migliore e più fruibile?

mercoledì 19 marzo 2014

Un anno di Francesco, "superman" dell'anima


È passato un anno da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto al soglio pontificio con il nome di Francesco. Giunto subito dopo un avvenimento storico quale la rinuncia al papato da parte di Benedetto XVI, papa Francesco ha saputo risollevare le sorti di una Chiesa smarrita, che davanti a quella poltrona vuota si era sentita come un bambino abbandonato dal padre, in compagnia solo di tanti punti interrogativi. Lo ha fatto con un caldo abbraccio, tipico delle persone venute «quasi dalla fine del mondo». Un abbraccio che è stato sentito in tutti gli angoli della terra, anche da coloro che non credono ma che hanno riconosciuto in Francesco un’autorità morale da rispettare e di cui prendere in considerazione i messaggi.

In pochi mesi, infatti, il papa argentino è diventato un vero e proprio “supereroe dell’anima”. Dichiarato “uomo dell’anno” dal settimanale Time, è stato anche il primo Pontefice della storia a essere messo in copertina da Rolling Stone, altro periodico famosissimo che però si occupa di argomenti tutt’altro che inerenti alla religione. Ciò che ha colpito fin da subito, e a cui i media hanno subito dato risalto, sono stati i suoi gesti e le sue frasi poco convenzionali, talvolta imprevedibili, a cominciare da quel «Buonasera», detto alla sua prima apparizione dal balcone papale, al «Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri», e al «Chi sono io per giudicare» rispondendo a chi gli chiedeva provocatoriamente un’opinione sugli omosessuali. E come dimenticare il bagno di folla a Rio de Janeiro, per le Giornate mondiali della gioventù: una folla che Francesco non ha rifiutato, aprendo il finestrino della sua auto, stringendo mani e accettando abbracci, mandando letteralmente nel panico gli addetti alla sicurezza. La valigetta nera, unico bagaglio con cui è partito verso Rio, è diventata simbolo della frugalità di questo papa, tanto da essere raffigurata con lui in un murales che qualche settimana fa è apparso a Roma e che rappresentava il papa come novello superman.

Ma nonostante l’affetto e le attribuzioni di stima provenienti da tutto il mondo, papa Bergoglio non ci sta a farsi ghettizzare in definizioni ideologiche o mitizzazioni, come ha dichiarato lo scorso 5 marzo in un’intervista al Corriere della sera. Dopo l’entusiasmo iniziale, infatti, si iniziano a vedere i frutti dei suoi primi cambiamenti all’interno dell’organigramma della Chiesa (commissione sullo Ior in primis) e si inizia a fare attenzione al suo messaggio pastorale: «All’inizio dell’elezione c’è stata un’esplosione di attenzione rispetto a quello che faceva papa Francesco un po’ troppo calcata su tutto ciò che riguardava i gesti esteriori, su come portava le scarpe o cosa indossava, piuttosto che sui contenuti», dice Angela Ambrogetti, vaticanista e direttrice del portale online Korazym.org. «L’intervista al Corriere della Sera è stata importante anche per questo: dalla “franceschite”, da questa passione come se il papa fosse una star, di cui egli stesso non è contento, stiamo finalmente passando a una attenzione a ciò che dice, che in realtà è molto diverso da ciò che volevano far credere che dicesse. All’inizio, parlando della croce d’argento e delle scarpe nere si voleva far passare l’immagine di un papa progressista e pauperista, che chissà quali rivoluzioni sensazionali avrebbe dovuto portare. Invece, andando avanti nel suo pontificato abbiamo visto che in realtà papa Francesco è molto legato al magistero della Chiesa ed è più tradizionale di quanto si voglia far credere». Anche per la Ambrogetti la rivoluzione di papa Francesco sta nel suo modo di comunicare: «La vera novità è rappresentata dal suo carattere argentino, al quale l’Occidente è poco abituato. Ma c’è il rischio che l’eccessiva attenzione dei media sui dettagli possa avere un effetto boomerang, perché si perde il vero significato delle parole del papa. In poche parole, si rischia di dare attenzione alla cornice e non al quadro».


Un’importanza grandissima per questo anno di pontificato e per la diffusione dei messaggi del papa l’hanno avuta anche i nuovi media e soprattutto i social network. Già papa Benedetto XVI aveva aperto un profilo Twitter, che però aveva suscitato molte perplessità per il numero di insulti e bestemmie che seguivano ogni suo messaggio. Una situazione che sembra migliorata con l’arrivo di papa Francesco: durante questo anno, i profili Twitter legati a lui (i @Pontifex sono nove, in diverse lingue tra cui il latino e l’arabo) hanno raggiunto gli 11 milioni di followers. «I nuovi media hanno inciso moltissimo durante questo anno di pontificato, soprattutto i social. Papa Francesco ha questa tecnica di parlare per slogan e quindi è molto più facile che essi vengano ripresi nei 140 caratteri di Twitter, su Facebook e nei lanci di agenzia. Di contro, è più difficile far passare il concetto teologico e filosofico più complesso». 

sabato 14 dicembre 2013

Come inviare una letterina di Natale a papa Francesco?

Ormai sono all'ordine del giorno le notizie che papa Francesco abbia telefonato a questa o quella persona dopo aver letto la sua lettera. Non ci sarebbe niente di più bello quindi, ora che siamo a pochi giorni dal Natale, di inviargli i nostri auguri e magari chiedere una benedizione.

Ma come si fa a inviare una lettera al papa? Girando in rete, ho notato che sono molti i siti che indicano come fare (qui se ne può trovare uno, ad esempio). Cosa che mi ha permesso di fare una riflessione sul sistema, alquanto arretrato, di comunicazione del Vaticano, almeno per quanto riguarda il rapporto diretto con i fedeli. Cosa che contrasta con l'innovazione del profilo Twitter, che è una buon vetrina, certamente, ma resta tale e quindi è un po' a senso unico.

L'indirizzo per scrivere al papa, infatti, è un normalissimo indirizzo di posta. Quindi se gli si vuole scrivere, nell'era delle e-mail, bisogna armarsi di santa pazienza, cercare una buca delle lettere nelle vicinanze (se esistono ancora), e sperare che le Poste recapitino questa lettera alla Città del Vaticano in una data utile prima della vostra pensione (e se siete già pensionati, non so che dire… pregate). Se la lettera gli sia arrivata, a meno che non mandiamo una raccomandata con ricevuta di ritorno, non lo sapremo mai.

Mi si potrebbe obiettare che ho poca fiducia. Ebbene sì, ho poca fiducia nelle poste. Sono una quasi-nativa digitale, e la missiva via posta ordinaria proprio non mi va giù.
Bisogna considerare, a discolpa della Santa Sede, che questa situazione delle lettere a cui il papa risponde è una cosa un po' improvvisata, fuori protocollo, come tante azioni di papa Francesco.

Ma un'esortazione all'innovazione non guasta mai, anche perché serve a poco fare il profilo Twitter del papa se poi, ad esempio, non esistono altri mezzi che la posta ordinaria o il fax per contattare l'elemosineria o la prefettura pontificia per avere un biglietto per l'udienza o una pergamena con la benedizione.

Quindi, non resta che fare una richiesta: per Natale, ce lo regalate un indirizzo e-mail?





domenica 21 luglio 2013

GMG 2013: una app per seguire Papa Francesco in Brasile

La schermata principale indica esattamente i giorni, le ore e minuti esatti prima dell'inizio della Giornata Mondiale della Gioventù 2013 e la frase del Vangelo di Matteo «Andate e fate discepoli di tutti i popoli»: è ciò che si vede in apertura, per ora, nell'app creata dal Servizio Nazionale pastorale giovanile della CEI in occasione della GMG 2013. L'applicazione ovviamente è disponibile per dispositivi iOS e Android e si divide in diverse sezioni: la prima, denominata ANDATE, è per ora ancora vuota ma dovrebbe comprendere pagine come "La parola di Dio oggi", "Preghiera", "Approfondimenti" e "Testimoni"; la seconda, quella delle NEWS, ha già qualche contenuto al suo interno, mentre la terza sezione, GMG, è già piena di articoli che riguardano la preparazione dei mesi scorsi. L'ultima sezione, LA MIA GMG, permette di salvare preferiti nelle precedenti sezioni. Nella presentazione della App si legge: «Offre spunti per la preghiera personale e per la riflessione di gruppo, approfondimenti con i testi del Concilio Vaticano II e del Catechismo del giovani II, testimonianze dei Santi e di giovani con le loro esperienze di fede, commento alle letture del giorno».

Questa ultima app è l'ennesimo segno di come gli strumenti digitali siano sempre più uno strumento indispensabile nella vita odierna, soprattutto per quanto riguarda i giovani e il loro modo di comunicare, così strettamente legato al mondo virtuale. Anche la Chiesa da tempo ha intercettato questo linguaggio e non è nuova ad operazioni volte ad avvicinare quel popolo di credenti che fa fatica ad aderire attraverso le modalità "standard": basti pensare a YouCat, la versione semplificata del catechismo per ragazzi, attraverso uno stile di scrittura semplice e una grafica giovanile e accattivante. Non poteva mancare quindi una applicazione dedicata ai giovani in occasione del loro incontro con il Papa.

Fa discutere molti e lascia perplessi alcuni, invece, la notizia che Papa Francesco impartirà l'assoluzione a tutti i follower del profilo Twitter Pontifex proprio durante queste giornate. Per ottenere questa assoluzione, però, bisognerà essersi confessati da un sacerdote ed aver ottenuto l'assoluzione, aver partecipato ad una Messa e aver seguito uno degli eventi della GMG in webcast. Sinceramente, sui canali di comunicazione ufficiale vaticani non si trovano dettagli su questa notizia, ma nei prossimi giorni ne sapremo sicuramente di più.

giovedì 11 luglio 2013

Le radici cristiane, antidoti alla "globalizzazione dell'indifferenza"

Riporto qui un mio commento pubblicato il 9 luglio 2013 sul sito Da Porta Sant'Anna:


La visita di Papa Francesco a Lampedusa porta sicuramente ad interrogarci, soprattutto per quella frase, “la globalizzazione dell’indifferenza”, che fotografa perfettamente quello che sta accadendo nel nostro mondo, e non solo a Lampedusa. Infatti, a dispetto di quanti hanno interpretato il discorso del Papa come un discorso politico rivolto allo Stato italiano, quelle parole andavano più in là, abbracciare tutto il pianeta. Lo dice il termine stesso, la globalizzazione riguarda chiunque, al giorno d’oggi.

Possiamo infatti includere nel discorso del pontefice la notizia della scorsa settimana (trattata dai nostri giornali nazionali come di una notizia di costume), che in Cina sia stata approvata una legge per “l’amore filiale”. Questo per venire incontro all’emergenza, che si espanderà nei prossimi anni (e che evidentemente è già di proporzioni problematiche, visto che sono stati costretti a farci su una legge), dell’abbandono e il maltrattamento degli anziani. Esattamente come è avvenuto in Cina, dove con la crescita economica e il regime comunista sono stati spazzati via secoli di etica confuciana, può accadere da qualsiasi altra parte del mondo; ed ecco che si ritorna presto alla “globalizzazione dell’indifferenza” di Papa Francesco.

Che c’entra tutto ciò con i cattolici? C’entra eccome, perché non ci rendiamo più conto, ormai, che se in Europa e in Italia esiste un certo tipo di welfare lo si deve alle nostre radici cristiane, o meglio, cattoliche; che gli ospedali, i ricoveri per gli anziani, sono stati inventati dai tanto vituperati preti. Così come l’oratorio, dove mandiamo i nostri figli a giocare dopo la scuola anche se non siamo credenti perché “è meglio lì che in mezzo alla strada”, lo ha inventato un certo san Filippo Neri.

Ma tutto ciò si sta perdendo, purtroppo, anche per i Paesi che hanno radici cristiane. Il cambio sta avvenendo nel cuore dei cittadini, che provano sempre meno quel sentimento di assistenza verso l’altro, quando è in difficoltà.

Di tutto ciò gli Stati non si rendono conto, o fanno finta di non accorgersene. Invece di essere riconoscenti a queste radici, integrandole tranquillamente nella vita quotidiana, si cerca di metterle da parte, di cancellarle, di dare a tutto un aspetto “laico”. Il che va anche bene, salvo che poi, quando tutto diventa laico e quindi non si risponde più a una chiamata “interna” del dovere dell’assistenza verso l’altro, si deve supplire con le leggi, con l’obbligo da parte di un ente superiore come lo Stato. Per utilizzare una metafora, è come comprare un’anguria con la polpa marcia, salvo poi lamentarsi se il fruttivendolo non ce la vende con la buccia bella lucida.

La domanda quindi resta questa: dove andranno a finire queste nostre radici in Italia e in Europa? Cercheremo di conservarle o faremo la fine della Cina, dove ci sarà una legge che ci imporrà che dobbiamo amare gli altri e come li dobbiamo amare? Sceglieremo anche noi di cedere i nostri valori all’indifferenza globale?

martedì 25 giugno 2013

Paolo VI e il messaggio agli artisti

A cinquant'anni dall'elezione al soglio pontificio di Papa Paolo VI, riporto qui il testo del suo discorso agli artisti del 7 maggio 1964.


Cari Signori e Figli ancora più cari!

Ci premerebbe, prima di questo breve colloquio, di sgombrare il vostro animo da certa apprensione, da qualche turbamento, che può facilmente sorprendere chi si trova, in una occasione come questa, nella Cappella Sistina. Non c’è forse luogo che faccia più pensare e più trepidare, che incuta più timidezza e nello stesso tempo ecciti maggiormente i sentimenti dell’anima. Ebbene, proprio voi, artisti, dovete essere i primi a togliere dall’anima la istintiva titubanza, che nasce nell’entrare in questo cenacolo di storia, di arte, di religione, di destini umani, di ricordi, di presagi. Perché? Ma perché è proprio, se mai altro c’è, un cenacolo per gli artisti, degli artisti. E quindi dovreste in questo momento lasciare che il grande respiro delle emozioni, dei ricordi, dell’esultazione, - che un tempio come questo può provocare nell’anima - invada liberamente i vostri spiriti.
Vi può essere un altro turbamento, quasi un’altra paralizzante timidezza; ed è quella che può portare non tanto la Nostra umile persona, quanto la Nostra presenza ufficiale, il Nostro ministero pontificio: è qui il Papa!, voi certo pensate. Sono mai venuti gli artisti dal Papa? È la prima volta che ciò si verifica, forse. O cioè, sono venuti per secoli, sono sempre stati in relazione col Capo della Chiesa Cattolica, ma per contatti diversi. Si direbbe perfino che si è perduto il filo di questa relazione, di questo rapporto. E adesso siete qui, tutti insieme, in un momento religioso, tutto per voi, non come gente che sta dietro le quinte, ma che viene veramente alla ribalta di una conversazione spirituale, di una celebrazione sacra. Ed è naturale, se si è sensibili e comprensivi, che ci sia una certa venerazione, un certo rispetto, un certo desiderio di capire e di tacere. Ebbene, anche questa sensibilità, se dovesse in questo momento legare le vostre espressioni interiori di liberi sentimenti, Noi vorremmo sciogliere, perché, se il Papa deve accogliere tutti - perché di tutti è Padre e per tutti ha un ministero, e per tutti ha una parola -, per voi specialmente tiene in serbo questa parola; ed è desideroso, ed è felice di poterla quest’oggi esprimere, perché il Papa è vostro amico.
E non lo è solo perché una tradizione di sontuosità, di mecenatismo, di grandezza, di fastosità circonda il suo ministero, la sua autorità, il suo rapporto con gli uomini, e perché ha bisogno di questo quadro decorativo e espressivo per dire a chi non lo sapesse chi lui è, e come Cristo lo abbia voluto in mezzo agli uomini. Ma lo è per ragioni più intrinseche, che sono poi quelle che ci tengono oggi occupati e che interessano il nostro spirito, e, cioè: sono ragioni del Nostro ministero che Ci fanno venire in cerca di voi. Dobbiamo dire la grande parola che del resto voi già conoscete? Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità. E non solo una accessibilità quale può essere quella del maestro di logica, o di matematica, che rende, sì, comprensibili i tesori del mondo inaccessibile alle facoltà conoscitive dei sensi e alla nostra immediata percezione delle cose. Voi avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo.
Questo - coloro che se ne intendono lo chiamano «Einfuhlung», la sensibilità, cioè, la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non si riuscirebbe a capire e ad esprimere - voi questo fate! Ora in questa vostra maniera, in questa vostra capacità di tradurre nel circolo delle nostre cognizioni - et quidem di quelle facili e felici, ossia di quelle sensibili, cioè di quelle che con la sola visione intuitiva si colgono e si carpiscono -ripetiamo, voi siete maestri. E se Noi mancassimo del vostro ausilio, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte.
Ora, se questo è, il discorso si dovrebbe fare grave e solenne. Il luogo, forse anche il momento, si presterebbero; non tanto il tempo che Ci è concesso, e non tanto il programma che abbiamo prefisso a questo primo incontro amichevole. Chi sa che non venga un momento in cui possiamo dire di più. Ma il tema è questo: bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti. Non è che l’amicizia sia stata mai rotta, in verità; e lo prova questa stessa manifestazione, che è già una prova di tale amicizia in atto. E poi ci sono tante altre manifestazioni che si possono addurre a prova di una continuità, di una fedeltà di rapporti, che testimoniano che non è mai stata rotta l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti. Anche perché, come dicevamo, la Chiesa ne ha bisogno e poi potremmo anche dire di più, leggendovi nel cuore. Voi stessi lo andate cercando questo mondo dell’ineffabile e trovate che la sua patria, il suo recapito, il suo rifornimento migliore è ancora la Religione.
Quindi siamo sempre stati amici. Ma, come avviene tra pa-renti, come avviene fra amici, ci si è un po’ guastati. Non abbiamo rotto, ma abbiamo turbato la nostra amicizia. Ci permettete una parola franca? Voi Ci avete un po’ abbandonato, siete andati lontani, a bere ad altre fontane, alla ricerca sia pure legittima di esprimere altre cose; ma non più le nostre.
Avremmo altre osservazioni da fare, ma non vogliamo questa mattina turbarvi ed essere scortesi. Voi sapete che portiamo una certa ferita nel cuore, quando vi vediamo intenti a certe espressioni artistiche che offendono noi, tutori dell’umanità intera, della definizione completa dell’uomo, della sua sanità, della sua stabilità. Voi staccate l’arte dalla vita, e allora... Ma c’è anche di più. Qualche volta dimenticate il canone fondamentale della vostra consacrazione all’espressione; non si sa cosa dite, non lo sapete tante volte anche voi: ne segue un linguaggio di Babele, di confusione. E allora dove è l’arte? L’arte dovrebbe essere intuizione, dovrebbe essere facilità, dovrebbe essere felicità. Voi non sempre ce le date questa facilità, questa felicità e allora restiamo sorpresi ed intimiditi e distaccati.
Ma per essere sincero e ardito - accenniamo appena, come vedete - riconosciamo che anche Noi vi abbiamo fatto un po’ tribolare. Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi - vi si diceva - abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v’è via di uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci ! E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non vi abbiamo avuti allievi, amici, conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto.
E allora il linguaggio vostro per il nostro mondo è stato docile, sì, ma quasi legato, stentato, incapace di trovare la sua libera voce. E noi abbiamo sentito allora l’insoddisfazione di questa espressione artistica. E - faremo il confiteor completo, stamattina, almeno qui -vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’«oleografia», all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, anche perché, a nostra discolpa, non avevamo mezzi di compiere cose grandi, cose belle, cose nuove, cose degne di essere ammirate; e siamo andati anche noi per vicoli traversi, dove l’arte e la bellezza e - ciò che è peggio per noi - il culto di Dio sono stati male serviti.
Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti? Volete dei suggerimenti, dei mezzi pratici ? Ma questi non entrano adesso nel calcolo. Restino ora i sentimenti. Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da interpretare ciò che dovrete esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volta più del tema, quel fluido segreto che si chiama l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte. E, a Dio piacendo, ve lo daremo. Ma dicevamo che questo momento non è fatto per i lunghi discorsi e per fare le proclamazioni definitive.
Però noi abbiamo già, da parte nostra, Noi Papa, noi Chiesa, firmato un grande atto della nuova alleanza con l’artista. La Costituzione della Sacra Liturgia, che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo ha emesso e promulgato per prima, ha una pagina - che spero voi conosciate - che è appunto il patto di riconciliazione e di rinascita dell’arte religiosa, in seno alla Chiesa cattolica. Ripeto, il Nostro patto è firmato. Aspetta da voi la controfirma.
Per ora dunque Ci limitiamo a dei rilievi molto semplici, ma che però non vi faranno dispiacere.
Il primo è questo: che Ci felicitiamo di questa Messa dell’artista e Monsignor Francia ne sia ringraziato; lui e tutti coloro che lo hanno seguito e che ne hanno raccolto la formula. Noi abbiamo visto nascere questa iniziativa, l’abbiamo vista accolta per primo dal Nostro venerato Predecessore Papa Pio XII, Che ha cominciato ad aprirle le vie e a darle cittadinanza nella vita ecclesiastica, nella preghiera della Chiesa; e perciò Ci congratuliamo di quanto è stato fatto su questo filone, che non è l’unico, ma che è buono e che è bene seguire: lo benediciamo e lo incoraggiamo. Vorremmo che voi portaste fuori, a quanti avete colleghi, imitatori, seguaci, la Nostra Benedizione per questo esperimento di vita religiosa artistica che ha ancora fatto vedere che fra sacerdote e artista c’è una simpatia profonda e una capacità d’intesa meravigliosa.
La seconda cosa è questa, notissima, ma deve, Ci pare, in questo momento essere ricordata; ed è che, se il momento artistico che si produce in un atto religioso sacro - come è una Messa - deve essere pieno, deve essere autentico, deve essere generoso, deve davvero riempire e far palpitare le anime che vi partecipano e le altre che vi fanno corona, ha altresì bisogno di due cose: di una catechesi e di un laboratorio.
Non Ci diffonderemo ora a discorrere se l’arte venga spontanea e improvvisa, come una folgorazione celeste, o se invece - e voi ce lo dite - abbia bisogno di un tirocinio tremendo, duro, ascetico, lento, graduale. Ebbene, se vogliamo dare, ripetiamo, autenticità e pienezza al momento artistico religioso, alla Messa, è necessaria la sua preparazione, la sua catechesi; bisogna in altri termini farla prendere o accompagnare dalla istruzione religiosa. Non è lecito inventare una religione, bisogna sapere che cosa è avvenuto tra Dio e l’uomo, come Dio ha sancito certi rapporti religiosi che bisogna conoscere per non diventare ridicoli o balbuzienti o aberranti. Bisogna essere istruiti. E Noi pensiamo che nell’ambito della Messa dell’artista, quelli che vogliono manifestarsi artisti veramente, non avranno difficoltà ad assumere questa sistematica, paziente, ma tanto benefica e nutriente informazione. E poi c’è bisogno del laboratorio, cioè della tecnica per fare le cose bene. E qui lasciamo la parola a voi che direte che cosa è necessario, perché l’espressione artistica da dare a questi momenti religiosi abbia tutta la sua ricchezza di espressività di modi e di strumenti, e se occorre anche di novità.
E da ultimo aggiungeremo che non basta né la catechesi, né il laboratorio. Occorre l’indispensabile caratteristica del momento religioso, e cioè la sincerità. Non si tratta più solo d’arte, ma di spiritualità. Bisogna entrare nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore; è l’Io che si trova nella sua sintesi più piena e più faticosa, se volete, ma anche la più gioiosa. Bisogna che qui la religione sia veramente spirituale; e allora avverrà per voi quello che la festa di oggi, la Ascensione, Ci fa pensare. Quando si entra in se stessi per trovare tutte queste energie e dar la scalata al cielo, in quel cielo dove Cristo si è rifugiato, noi ci sentiamo in un primo momento, immensamente, direi, infinitamente lontani.
La trascendenza che fa tanto paura all’uomo moderno è veramente cosa che lo sorpassa infinitamente, e chi non sente questa distanza non sente la religione vera. Chi non avverte questa superiorità di Dio, questa sua ineffabilità, questo suo mistero, non sente l’autenticità del fatto religioso. Ma chi lo sente sperimenta, quasi immediatamente, che quel Dio lontano è già lì: «Non lo cercheresti, se già non lo avessi trovato». Parole di Pascal, vero; ed è quello che si verifica continuamente nell’autentica vita spirituale del cristiano. Se ricerchiamo Cristo veramente dove è, in cielo, lo vediamo riflesso, lo troviamo palpitante nella nostra anima: il Dio trascendente è diventato, in certo modo, immanente, è diventato l’amico interiore, il maestro spirituale. E la comunione con Lui, che sembrava impossibile, come se dovesse varcare abissi infiniti, è già consumata; il Signore viene in comunione con noi nelle maniere, che voi ben sapete, che sono quelle della parola, che sono quelle della grazia, che sono quelle del sacramento, che sono quelle dei tesori che la Chiesa dispensa alle anime fedeli. E basti per ora così.
Artisti carissimi, diciamo allora una parola sola: arrivederci!



mercoledì 12 giugno 2013

I corvi e le cornacchie che infestano "casa Vaticano"

Da ieri i giornali non fanno altro che parlare di questo colloquio privato che il Papa avrebbe avuto con sei delegati della CLAR, la Confederazione di religiosi latinoamericana e dei Caraibi. 
Qualcuno di questi religiosi sarebbe andato a spifferare tutto il contenuto del colloquio al sito cileno Reflexion y Liberacion, vicino alle posizioni della teologia della liberazione. 
Padre Lombardi, della sala stampa vaticana, ha ritenuto opportuno sottolineare che si trattava di una conversazione privata, e che lui non era in grado né di confermare né di smentire, anche perché non esistono registrazioni di tutto ciò. 

Il Papa avrebbe parlato della presenza all'interno della curia romana di una lobby gay. Questo è il dato pruriginoso che più ha interessato i giornali che oggi si soffermano su questa dichiarazione, ipotizzando collegamenti con il caso Vatileaks e il rapporto segreto passato direttamente dalle mani di Papa Benefetto XVI a quelle di Francesco, come nel caso dell'articolo di Andrea Tornielli ieri su Vatican Insider, e quello di Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera di oggi. 

Questo è l'antefatto. Che i corvi dunque siano tornati di nuovo in azione?
Più che di corvi pare si tratti di cornacchie: già oggi Gian Guido Vecchi parla di "sintesi personali" da parte dei religiosi che hanno assistito a questo colloquio, che potrebbero quindi aver interpretato a loro modo alcune frasi di Papa Francesco. Si inizia a ritrattare, quindi. Anche se la macchina del fango  è già stata messa in moto.

Per quanto si possa dubitare di quanto detto in questa chiacchierata "privata" (che una persona in buona fede non sarebbe dovuta andare a raccontare, ma evidentemente non è questo il caso), è innegabile che da tempo girino voci su una lobby (ma poi, cosa si intende col termine lobby? Un'organizzazione che tenta di ottenere qualcosa o semplicemente un gruppo di persone omosessuali all'interno della curia?) gay, soprattutto per quanto riguarda i seminari pontifici. Non mi meraviglierebbe se il Papa si fosse lasciato scappare un accenno a questa situazione in un colloquio privato e che questo sia stato un boccone succulento per una strumentalizzazione delle sue parole.

Ciò che però mi fa dubitare sulla buonafede di questa fuga di notizie è una frase riportata da Tornielli, in cui il Papa avrebbe invitato i religiosi ad ignorare le missive scritte dalla Congregazione della dottrina della fede e andare avanti par la propria strada. 
Sembra davvero una frase illogica, detta dal capo della Chiesa Cattolica.

I conti tornano solo quando si ricorda che il sito che ha dato la notizia è vicino alla teologia della liberazione, che da anni scappa dalle maglie della Chiesa. E si fa due più due se si ricorda che Bergoglio, quando era prete a Buenos Aires, a questa teologia della liberazione si era sempre opposto. 

Dopo aver fatto questa considerazione, è ovvio che le altre affermazioni di questi signori vadano prese almeno con le pinze.

E se proprio vogliamo parlare di liberazione, speriamo che ci sia davvero una liberazione in Vaticano di questi corvi, che remano contro corrente.
Anche se, ribadiamo, in questo caso pare che si tratti di più banali cornacchie.