È passato un anno da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto al soglio
pontificio con il nome di Francesco. Giunto subito dopo un avvenimento storico
quale la rinuncia al papato da parte di Benedetto XVI, papa Francesco ha saputo
risollevare le sorti di una Chiesa smarrita, che davanti a quella poltrona
vuota si era sentita come un bambino abbandonato dal padre, in compagnia solo
di tanti punti interrogativi. Lo ha fatto con un caldo abbraccio, tipico delle
persone venute «quasi dalla fine del mondo». Un abbraccio che è stato sentito
in tutti gli angoli della terra, anche da coloro che non credono ma che hanno
riconosciuto in Francesco un’autorità morale da rispettare e di cui prendere in
considerazione i messaggi.
In pochi mesi,
infatti, il papa argentino è diventato un vero e proprio “supereroe dell’anima”. Dichiarato “uomo dell’anno” dal settimanale Time, è stato anche il primo Pontefice
della storia a essere messo in copertina da Rolling
Stone, altro periodico famosissimo che però si occupa di argomenti
tutt’altro che inerenti alla religione. Ciò che ha colpito fin da subito, e a
cui i media hanno subito dato risalto, sono stati i suoi gesti e le sue frasi poco
convenzionali, talvolta imprevedibili, a cominciare da quel «Buonasera», detto
alla sua prima apparizione dal balcone papale, al «Come vorrei una Chiesa
povera, per i poveri», e al «Chi sono io per giudicare» rispondendo a chi gli
chiedeva provocatoriamente un’opinione sugli omosessuali. E come dimenticare il
bagno di folla a Rio de Janeiro, per le Giornate mondiali della gioventù: una
folla che Francesco non ha rifiutato, aprendo il finestrino della sua auto,
stringendo mani e accettando abbracci, mandando letteralmente nel panico gli
addetti alla sicurezza. La valigetta nera, unico bagaglio con cui è partito
verso Rio, è diventata simbolo della frugalità di questo papa, tanto da essere
raffigurata con lui in un murales che qualche settimana fa è apparso a Roma e
che rappresentava il papa come novello superman.
Ma nonostante
l’affetto e le attribuzioni di stima provenienti da tutto il mondo, papa
Bergoglio non ci sta a farsi ghettizzare in definizioni ideologiche o
mitizzazioni, come ha dichiarato lo scorso 5 marzo in un’intervista al Corriere della sera. Dopo l’entusiasmo
iniziale, infatti, si iniziano a vedere i frutti dei suoi primi cambiamenti
all’interno dell’organigramma della Chiesa (commissione sullo Ior in primis) e
si inizia a fare attenzione al suo messaggio pastorale: «All’inizio dell’elezione c’è stata un’esplosione di attenzione
rispetto a quello che faceva papa Francesco un po’ troppo calcata su tutto ciò
che riguardava i gesti esteriori, su come portava le scarpe o cosa indossava,
piuttosto che sui contenuti», dice Angela
Ambrogetti, vaticanista e direttrice del portale online Korazym.org. «L’intervista
al Corriere della Sera è stata
importante anche per questo: dalla “franceschite”, da questa passione come se il
papa fosse una star, di cui egli stesso non è contento, stiamo finalmente
passando a una attenzione a ciò che dice, che in realtà è molto diverso da ciò
che volevano far credere che dicesse. All’inizio, parlando della croce
d’argento e delle scarpe nere si voleva far passare l’immagine di un papa progressista
e pauperista, che chissà quali rivoluzioni sensazionali avrebbe dovuto portare.
Invece, andando avanti nel suo pontificato abbiamo visto che in realtà papa
Francesco è molto legato al magistero della Chiesa ed è più tradizionale di
quanto si voglia far credere». Anche per la Ambrogetti la
rivoluzione di papa Francesco sta nel suo modo di comunicare: «La vera novità è
rappresentata dal suo carattere argentino, al quale l’Occidente è poco abituato.
Ma c’è il rischio che l’eccessiva attenzione dei media sui dettagli possa avere
un effetto boomerang, perché si perde il vero significato delle parole del
papa. In poche parole, si rischia di dare attenzione alla cornice e non al
quadro».
Un’importanza
grandissima per questo anno di pontificato e per la diffusione dei messaggi del
papa l’hanno avuta anche i nuovi media e soprattutto i social network. Già papa
Benedetto XVI aveva aperto un profilo Twitter, che però aveva suscitato molte
perplessità per il numero di insulti e bestemmie che seguivano ogni suo
messaggio. Una situazione che sembra migliorata con l’arrivo di papa Francesco:
durante questo anno, i profili Twitter legati a lui (i @Pontifex sono nove, in
diverse lingue tra cui il latino e l’arabo) hanno raggiunto gli 11 milioni di
followers. «I nuovi media hanno inciso moltissimo durante questo anno di
pontificato, soprattutto i social. Papa Francesco ha questa tecnica di parlare
per slogan e quindi è molto più facile che essi vengano ripresi nei 140
caratteri di Twitter, su Facebook e nei lanci di agenzia. Di contro, è più
difficile far passare il concetto teologico e filosofico più complesso».
Sulla fedeltà del Papa al Magistero non si discute, ma la mia personale percezione (che ho ricavato leggendo le sue omelie e altre interviste, ad esempio quella rilasciata a P. Antonio Spadaro s.j., Direttore di Civiltà Cattolica) è che la "rivoluzione Francesco" non attenga semplicemente al modo di comunicare, ma investa, tra l'altro, un sostanziale cambio di prospettiva oserei dire "teologica" e esistenziale rispetto a Benedetto XVI. Da una concezione della Verità da ricercare, svelare e a cui adeguarsi alla ricerca della Verità nella relazione e immersione nella Misericordia di Dio.
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